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ARTICOLO VISION VILLAGGIO TERRA PROMESSA (UN PROGETTO DI SVILUPPO SOLIDALE PER IL CONGO)
Un vecchio proverbio africano recita testualmente: “La mano che riceve l'aiuto è sempre al di sotto di quella che lo dona”. A primo acchito può sembrare una frase scontata e retorica ma, leggendo con maggiore attenzione percepiamo che, queste poche parole rivelano, in sostanza, la chiave del profondo stato di frustrazione in cui versano la gran parte delle popolazioni del continente “nero”. E qui, a Gela, è nata un’associazione di persone che, senza tanto clamore, sta cercando di dare a questa gente un contributo di crescita diverso, facendo in modo che questo aiuto concreto solleciti una crescita autonoma. L’Associazione “Villaggio Terra Promessa” costituita da un nutrito gruppo di gente volenterosa e presieduta da Giacomo Loggia, già Pastore della Chiesa Evangelica Pentecostale di Gela, ha pensato nel proprio piccolo di adoperarsi in modo diverso, per fare in modo che il Congo, possa utilizzare le proprie risorse per attivare un processo economico di autosostentamento. Un progetto davvero ambizioso ma che, nel proprio piccolo, può servire a ridare la giusta dignità ad un popolo martoriato dalla guerra civile e dalle epidemie. Ma vediamo di conoscere meglio i dettagli di questa iniziativa direttamente dalle parole del Presidente dell’associazione:
Come è nata l’idea di questo progetto?
Qualche anno fa, mi recai a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, spinto dalla necessità di verificare personalmente lo stato in cui versano le popolazioni del luogo. Attualmente, in Congo, si vive in una situazione generalizzata di illegalità e di arbitrio, così anche gli aiuti del PAM (Programma Alimentare Mondiale) che spende cifre enormi per acquistare ed importare cibo, in una regione dai terreni fertili ma abbandonati, perché occupati dalla foresta o perché privi di collegamenti stradali, hanno lo stesso effetto di una goccia d’acqua nel deserto. Mi sono reso immediatamente conto che in quel paese si vive in uno stato di assoluta precarietà. Parecchi anni di dittatura e di gestioni approssimative hanno impoverito la popolazione, con un livello di vita tra i più bassi del mondo e dove il salario minimo non supera i 15 euro al mese. Tutto questo,come già detto, nonostante il sottosuolo di questa nazione sia ricco di minerali preziosi e la terra molto fertile. Un vero e proprio controsenso. E così, che è nata l’idea di aiutare la popolazione locale in maniera diversa, cercando di dotarli degli strumenti e delle tecnologie utili a fare in modo che, nel giro di qualche anno, possano produrre un proprio reddito. Un’idea che segue il modello del Kibuz israeliano.
Quali sono le difficoltà sostanziali che state trovando nel portare avanti questo progetto ambizioso?
Le difficoltà sono innumerevoli, a partire dalla diffidenza con cui siamo visti da molta gente abituata a vivere in un paese dove l’illegalità e la corruzione l’hanno sempre fatta da padrone. Abbiamo avviato i contatti con il Ministro dello Sviluppo Agricolo e con il Ministro dell’Economia, i quali si sono mostrati ampiamente disponibili a fornire la disponibilità di grandi appezzamenti di terreni, in una sorta di partnership con la popolazione locale e con la nostra associazione. Come si può intuire, le difficoltà sono ricollegabili alla mancanza di finanziamenti ed al reperimento delle risorse umane da affiancare alla gente del posto. Abbiamo già dei volontari che si stanno prodigando per insegnare un mestiere alla gente di questi villaggi, ma hanno bisogno di alternarsi per tornare alle proprie faccende quotidiane.
Questo progetto mette in crisi ciò che il mondo occidentale dà per scontato: il concetto stesso di aiuto al Sud del mondo. Ritiene che possa trattarsi di un aiuto risolutivo, per risollevare le sorti di una terra martoriata come quella africana?
Ne sono assolutamente convinto. Ritengo che questa nuova idea di solidarietà possa trasformarsi in un sistema per cambiare le sorti di questo paese sfortunato. Il Congo è fondamentalmente un paese dalle grandi risorse naturali, innescando un meccanismo di autosostentamento, possiamo riuscire a riaffermare la dignità di questa gente che da troppo tempo vive nella povertà e nel bisogno, determinata dalla scarsa informazione e formazione al lavoro.
Che tipo di riscontro avete registrato nell’ambiente politico ed imprenditoriale del territorio gelese?
Avevamo raggiunto un protocollo d’intesa con il Comune di Gela per il finanziamento di un programma di formazione on-the-job, ma al momento non si è fatto nulla. Contiamo molto sulla sensibilità e sul contributo delle imprese locali e dalle grosse Società che operano nel nostro territorio, perchè possano mettere a disposizione materiali, mezzi e attrezzature, anche usate. Non dobbiamo dimenticare che il nostro superfluo per molta gente diventa l’indispensabile.
ENZO EMMANUELLO

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